venerdì 27 maggio 2011

Scripta manent, n. 7 - «Vindica te tibi»

     Le riflessioni sul tempo sono un topos nella letteratura, perché esso non smette mai di essere una questione scottante. Vi propongo a tal proposito la prima delle Lettere morali a Lucilio (Epistulae morales ad Lucilium) di Lucio Anneo Seneca: essa è una bella riflessione sull’importanza di usare bene il tempo, una cosa molto importante per i giovani, che, di tempo, ne hanno molto davanti.
     Come di consueto, quella che leggerete è una mia traduzione, quindi non posso non accompagnare ad essa anche il testo originale, poiché sono sempre convinto che ogni atto di traduzione sia un azzardo.

gdfabech

Seneca saluta il suo Lucilio

     Fa’ così, mio Lucilio: rivendicati a te stesso, e quel tempo che fino ad ora ti veniva portato via con la forza o che ti veniva sottratto con l’inganno o che semplicemente ti sfuggiva di mano, raccoglilo e custodiscilo. Convinciti che la questione è proprio così come ti scrivo: che cioè ci sono momenti che ci vengono strappati via, altri che ci vengono sottratti subdolamente, altri che scorrono via da soli. Tuttavia la perdita di tempo peggiore è quella che avviene per trascuratezza. E, se vorrai prestare attenzione, ti dirò che gran parte della vita scivola via operando male, la maggior parte della vita non facendo un bel niente, la vita intera facendo altro da ciò che andrebbe fatto.
     Sapresti indicarmi un uomo che sappia attribuire un valore al tempo, che sappia valutare ogni singolo giorno, un uomo che si renda conto di morire quotidianamente? È in questo infatti che sbagliamo, nel guardare alla morte come a qualcosa che ci sta davanti: gran parte di essa appartiene invece già al passato; tutto quello che del nostro tempo è passato, la morte lo possiede. Fa’ dunque, mio Lucilio, ciò che scrivi di fare, tieniti strette tutte le tue ore; così avverrà che tu dipenda meno dal domani, se avrai messo mano al presente. Mentre viene rinviata, la vita passa.
     Tutte le cose, Lucilio, non ci appartengono, soltanto il tempo è veramente nostro; la natura ci ha messi in possesso di quest’unica cosa fugace e scivolosa, della quale chiunque lo voglia può privarci. E la follia dei mortali è tanto grande che essi sopportano che siano loro rinfacciate, come fossero un debito, tutte quelle cose insignificanti e di scarso valore, ma di certo rimpiazzabili, nel momento in cui le abbiano ottenute, mentre nessuno si considera essere in debito di qualcosa quando riceve del tempo, eppure questa è la sola cosa che nemmeno una persona riconoscente può restituire.
     Forse ti starai chiedendo cosa faccia io che ti insegno queste cose. Lo confesserò apertamente: ciò che avviene a quell’uomo che vive nel lusso ma che usa accortezza, cioè tengo ben presente il conto della spesa. Non posso dire di non sprecare nulla, ma dirò cosa io sprechi e perché lo sprechi e in che modo lo sprechi; renderò conto a me stesso delle ragioni della mia povertà. Ma mi accade ciò che avviene alla maggior parte di coloro che sono ridotti in miseria non per colpa loro: tutti li compatiscono, ma nessuno li aiuta. E quindi? Io non considero povero colui che si accontenta di ciò che gli è rimasto, per quanto poco sia. Tuttavia – lo preferisco – tu conserva le tue cose e comincerai nel momento opportuno. Infatti, come sembrava giusto ai nostri antenati, “è troppo tardi essere parsimoniosi quando ormai si è arrivati al fondo”; infatti ciò che rimane al fondo non solo è pochissimo, ma è anche la parte peggiore.

Stammi bene.


Lucio Anneo Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, I, 1



     Il testo originale scritto da Seneca:

Seneca Lucilio suo salutem

     Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus.
     Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. Dum differtur vita transcurrit.
     Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere.
     Interrogabis fortasse quid ego faciam qui tibi ista praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat impensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quid perdam et quare et quemadmodum dicam; causas paupertatis meae reddam. Sed evenit mihi quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo succurrit. Quid ergo est? Non puto pauperem cui quantulumcumque superest sat est; tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam ut visum est maioribus nostris, “sera parsimonia in fundo est”; non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet.

Vale.

giovedì 26 maggio 2011

Il senso della vita: una risposta scientifica

     Qual è il senso della vita? Chissà quante volte ce lo siamo chiesti. I più idealisti molte volte di sicuro. Vi risponderebbero la Psicologia e la Filosofia che il senso si può solo attribuire alle cose, che nulla ha un senso in sé, ma che siamo sempre noi che gliene diamo uno. O, se siamo credenti, allora rimettiamo il senso delle cose alla volontà di Dio, o delle altre divinità in cui eventualmente crediamo. Insomma, ogni prospettiva dà una risposta diversa al problema.
     Nessuno però dà mai una risposta da un punto di vista “scientifico”. E io non credo che sia meno interessante, anzi, forse è il solo approccio a poter dare una risposta supportata da prove. Non che la Scienza sia la sola a poter dare risposte, ci mancherebbe altro, ma avrà pure i suoi meriti. Proviamo a rispondere alla domanda dicendo una cosa sconvolgente: secondo le scoperte scientifiche il senso della vita è la morte.
     No, non è un gioco di parole e se permettete vi spiego perché, cercando di semplificare più che posso le argomentazioni scientifiche che chiamano in causa fenomeni molto complessi.

Cos’è vita?
     Partiamo da una definizione di vita. La biologia che ci insegnano a scuola dice che un essere è vivente se nasce, cresce, si riproduce e muore, ma questa risposta implica che l’essere vivente in questione sia dotato di processi biochimici al suo interno che gli permettano di fare tutte quelle cose: per nascere, ad esempio, occorre che uno spermatozoo (che è una cellula) dia il suo DNA (che è una molecola) a un ovulo (altra cellula); oppure è necessario che un batterio (che è una cellula) si divida sdoppiandosi (processo che si chiama mitosi). Per crescere è necessario che le cellule di un organismo incamerino delle sostanze nutritive (che sono molecole) al loro interno e che queste sostanze vengano trasformate chimicamente in altre sostanze o in energia per permettere all’organismo di assumere forme e dimensioni diverse…
Una cellula animale rappresenta già da sola un esempio di alta
organizzazione e ordine strutturale e funzionale.
     Chi compie studi di tipo biologico sa che per permettere questi tipi di processi (che alla fine sono reazioni chimiche e fisiche) la Natura, nella sua somma fantasia, deve organizzarsi in un modo molto razionale e ordinato, ovvero: i processi caotici e disordinati sono contrari alla vita.
     Pensate a un’automobile: essa viaggia e fa il suo dovere perché ognuno dei suoi componenti è montato e tenuto in un certo modo, ogni pezzo fa un lavoro specifico e ciascuno di essi comunica in qualche modo con gli altri, da cui dipende. Il volante è collegato alle ruote, cui sono attribuite delle sospensioni e dei freni ecc… Inoltre un’automobile continua a viaggiare se viene di volta in volta controllata per prevenire eventuali danni e se le viene dato del carburante, da cui (tramite processi fisici) viene ricavata l’energia che la fa funzionare. Esattamente come un’automobile, progettata secondo un ordine ben preciso, così gli esseri viventi (anche i più insignificanti e “semplici” come un batterio) possiedono al loro interno strutture molecolari che farebbero invidia al migliore progetto ingegneristico mai pensabile, con un’organizzazione interna assolutamente perfetta.
     Torniamo all’automobile: immaginate di avere tutti i pezzi di un’automobile (carrozzeria, telaio, ruote, albero motore, cambio…) raggruppati alla rinfusa in un angolo, senza che siano collegati tra essi secondo schemi logici. Cosa avreste in quel caso? Avreste comunque le parti costituenti l’automobile, ma non l’automobile in quanto tale, poiché essa non sarebbe in grado di funzionare in quanto i suoi pezzi non potrebbero comunicare per permetterle di fare il suo lavoro. Allo stesso modo un organismo vivente non “vive”, ovvero non svolge le sue funzioni vitali (nascere, crescere, riprodursi e morire) se al suo interno quelle strutture non sono organizzate secondo certi criteri e se non comunicano tra loro in modo preciso.

Cos’è morte?
     Questa riflessione ci porta allora a definire la morte. La morte è quella situazione in cui qualche processo (o molti processi) fisiologici di un essere vivente si comportano in modo diverso da come dovrebbero, al punto da influenzare anche tutti gli altri processi con cui sono collegati, fino ad arrivare a uno squilibrio e a un caos interno tale che quei processi non riescono più a continuare come prima e si fermano. Come la nostra automobile che, mentre sta viaggiando, subisce un surriscaldamento eccessivo del motore, che porta a un aumento di temperatura tale da compromettere il buon funzionamento del motore stesso.
     La morte, biologicamente intesa, si ha quindi nel caso in cui dei processi chimici si verificano, ma in maniera caotica e disorganizzata, ovvero senza quell’organizzazione logica di cui dicevamo prima; in un cadavere ci sono sempre processi chimici e fisici che continuano a essere presenti, ma che non sono quelli giusti, perché non permettono più alle strutture delle cellule di svolgere le funzioni che avevano svolto fino a poco prima. Perciò concludiamo che la vita è una forma di ordine biochimico, mentre la morte è una situazione di disordine biochimico.
Un essere vivente lasciato esposto all'azione caotica dei fenomeni
naturali perde la sua capacità di tenere insieme le sue parti, si
corrompe e si disfa.
     Infine, quando un sistema è lasciato in disordine, esso si corrompe, si usura. Pensate a un’automobile lasciata per anni all’aperto: se non la si controlla e la si pulisce, ovvero se la si espone al caos dei fenomeni naturali, subirà danni; la polvere si insinuerà nell’abitacolo e negli interstizi delle parti meccaniche, la carrozzeria si scolorerà, la pressione dei pneumatici non sarà più quella di una volta e molte parti metalliche, a contatto con l’ossigeno dell’aria, si arrugginiranno, indebolendosi. Così un cadavere in cui i processi di controllo, di pulizia e di riparazione siano fermi comincia a subire danni alle sue strutture e deperisce: ecco allora che il cuore non batte più, il sangue non circola, le sostanze nutritive nel sangue non arrivano più alle cellule, le cellule muoiono, se muoiono non si riproducono più, se non si riproducono non possono sostituire quelle vecchie, quindi tutto il complesso dell’organismo non si tiene più insieme e la pelle subisce l’effetto delle intemperie, la carne si consuma e perfino le ossa, che sono resistenti, col tempo diventano polvere.

La Natura tende spontaneamente al disordine
Delle carte lanciate in aria sono un esempio
di come la Natura crei spontaneamente il
disordine.
     La Fisica ha dimostrato che la Natura nel suo complesso, ovvero in ogni suo fenomeno, tende a produrre disordine. Disordine molecolare, perché le molecole tendono a muoversi nel modo più caotico possibile; disordine energetico, perché l’energia tende a distribuirsi nell’ambiente circostante in modo da occuparlo tutto (pensate al calore che diffonde in una camera). Se prendete un mazzo di carte e lo lanciate in aria, le carte tenderanno a cadere in ordine sparso, ovvero in disordine per terra; non avverrà mai che delle carte sparse tornino spontaneamente in un mazzo belle e ordinate, a meno che qualcuno non spenda energia per rimetterle a posto. Ugualmente se accendete una stufa in una stanza, il calore che essa libera tenderà a occupare pian piano tutta la stanza; non avverrà mai che il calore si riunisca spontaneamente in un unico punto della stanza, a meno che qualcuno non forzi questo processo.
     Delle carte sparse per terra, così come del calore sparso per tutta la stanza rappresentano forme di disordine energetico e molecolare, che sono appunto ciò su cui si basa la morte. Questo disordine in Natura è spontaneo, ovvero avviene senza che serva spendere energie per farlo accadere: se, dunque, è più facile che accada, vuol dire che accadrà ogni volta che potrà, ovvero in ogni fenomeno che non sia controllato. Ma se la Fisica (così come gli esempi descritti) dimostra che in Natura tutti i processi tendono a creare disordine, allora com’è possibile che esista la vita, fatta invece di processi ordinati? La vita è ordine, e l’ordine non è spontaneo in Natura. Ovvero la vita non dovrebbe esistere, a meno che non ci siano processi che permettano a quell’ordine di realizzarsi.

La vita è il giro più largo compiuto dalla morte
     Veniamo alla conclusione di questa riflessione. Abbiamo detto che la vita, fatta di ordine, non avverrebbe mai spontaneamente. Tuttavia avviene, quindi questo significa che ci sono dei processi in Natura che “forzano” questi fenomeni ordinati ad avvenire, giacché spontaneamente non avverrebbero mai. Domandina: e questi processi che forzano da dove vengono? La risposta è facile: sono proprio quei processi “disordinati”, quindi spontanei, di cui parlavamo prima.
I mulini sfruttano la caoticità di fenomeni
spontanei (il vento che soffia) per produrre
fenomeni non spontanei, ma ordinati.
     Facciamo un esempio: un mulino è uno strumento che compie un lavoro ordinato; il mulino non girerebbe mai da solo, perché l’ordine non è spontaneo. Come si fa girare un mulino? Sfruttando, per esempio, il vento o l’acqua corrente di un fiume! Lo scorrere dell’acqua e il soffiare del vento sono fenomeni naturali del tutto spontanei e la loro azione viene sfruttata per permettere a un fenomeno non spontaneo (il giro del mulino) di avvenire. È proprio questo cha accade con tutte quelle reazioni chimico-fisiche che permettono l’esistenza della vita. Esse avvengono perché sono “spinte” da altri fenomeni spontanei (quindi caotici, quindi contrari alla vita).
     È paradossale che la vita esista grazie a processi che sono tipici dello status di morte! Ma – e con questo concludiamo il ragionamento – se in Natura la sola cosa che avviene spontaneamente è ciò che è disordinato (ovvero ciò che porta alla morte), allora la vita non è altro che un modo diverso che la morte ha di compiersi. È una forma di morte che non si esaurisce immediatamente in processi caotici, ma che sfrutta processi caotici per produrre processi ordinati per un tempo limitato (il tempo della vita di un essere vivente), per poi culminare nel disordine caotico della morte vera e propria. Ovvero, è come se la morte, per compiersi, facesse un giro più largo. In questo senso dico che il senso della vita è la morte.


Post scriptum
     Se siete rimasti delusi da questa riflessione, se essa ha corrotto l’idea idilliaca che avevate del vivere o dello stare al mondo, siete liberi di ignorarla o canzonarla, ma sappiate che per me la consapevolezza di tutto ciò non toglie assolutamente dignità o bellezza alla vita in quanto tale. Sapere che le forze disordinate in Natura sono intimamente legate a quelle ordinate mi fa amare la vita ancora di più, mi dice che essa è un fenomeno molto più ricco e più bello di quello che ingenuamente possiamo pensare.

mercoledì 25 maggio 2011

Referendum abrogativi: 12 e 13 giugno 2011

     Domenica 12 e lunedì 13 giugno 2011 noi italiani saremo chiamati a esprimere la nostra volontà su alcune questioni molto importanti tramite referendum abrogativo e io vorrei qui dare qualche informazione riguardo questa chiamata, giacché in TV non se ne sta parlando.
     La prima cosa da dire è che qui stiamo parlando di un referendum, ovvero l’opportunità che i cittadini hanno di esprimere direttamente la loro preferenza su argomenti che riguardano la loro vita e gli affari del loro paese. Partecipare a un referendum è importante sia perché esso è il solo strumento di democrazia diretta che ci è rimasto, sia perché esso ha validità soltanto nel caso in cui vi partecipi la metà degli aventi diritto al voto più uno, ovvero quello che tecnicamente si chiama quorum, cioè il numero legale.
     La seconda cosa da ricordare è che questo sarà un referendum abrogativo, cioè un referendum che chiede la cancellazione (o abrogazione) totale o parziale di alcune norme. Questo non è banale, perché in un referendum abrogativo la domanda viene posta nei termini di «Volete voi che siano abrogati gli articoli ecc...?». Quindi, nel caso di referendum abrogativo, se il cittadino vuole che una norma venga cancellata perché non gli piace, deve rispondere alla domanda con un “Sì”. State quindi attenti a non confondervi: scegliendo l'opzione “No” si accetta di conservare le norme vigenti, ovvero si sceglie di non abrogarle.



     E veniamo alla questione. Il referendum prevederà 4 quesiti sui tre seguenti temi:

- il legittimo impedimento;
- il ritorno dell’Italia all’energia nucleare;
- la privatizzazione dell’acqua.

     Ciascun quesito chiederà se il cittadino desidera abrogare totalmente o parzialmente degli articoli delle leggi che disciplinano questi temi. Prima di spendere due parole sugli oggetti del referendum, voglio sottolineare la necessità di una cosa molto importante quando si parla questioni di pubblico interesse: l’informazione! Cari signori, toglietevi pure dalla testa di fare una cosa utile andando a votare se non sapete un’acca delle tematiche sopraelencate. Un referendum è un momento importantissimo di partecipazione sociale e andare a votare a caso o affidandosi a voci incerte di corridoio è solo una perdita di tempo da una parte, e un’offesa alla democrazia dall’altra.
     Ho letto già da molti mesi diversi appelli in rete che incitano a partecipare e a votare per i famosi 4 “Sì” per dire “No”. E il sottoscritto è anche d'accordo. Tuttavia, credo che, piuttosto che affidarsi ciecamente al parere di qualcun altro (anche se è un parere detto in buona fede), risulti ancora meglio per il cittadino arrivare al momento del voto pienamente consapevole della propria scelta, perché si è informato personalmente; è necessario che il cittadino abbia una propria idea di ciò che riguarda la sua vita sociale, perché in questo modo il rischio di farsi plagiare (da chiunque, non ha importanza), si riduce; il cittadino deve pensare con la propria testa! Certo, nessuno pretende che ci si barcameni da soli in questioni tecniche, espresse con un linguaggio a volte complesso per la maggior parte delle persone, però l’informazione, bisogna cercarsela, altrimenti saremo manovrabili. Si può cercare informazione in molti modi: si possono leggere i giornali, si possono ascoltare i programmi televisivi che parlano di queste questioni, si può chiedere consulenza ad amici o conoscenti che studiano in questi settori, che magari sono avvocati e quindi sanno leggere e comprendere i testi di legge (che sono molte volte comprensibili anche per chi non studia Giurisprudenza: il sottoscritto ne ha letti più di uno ed è sopravvissuto tranquillamente), oppure si può andare in rete e cercare qualunque altra informazione si desideri.
     Insisto sulla necessità di informarsi prima anche per un altro motivo: in genere i quesiti referendari sono brevi, ma altre volte possono essere lunghi e pieni di citazioni, al punto da essere incomprensibili. Uno dei quattro quesiti di questo prossimo referendum è proprio così (è il quesito sul nucleare). Trovarsi di fronte a una domanda così lunga e complessa può far desistere il cittadino dal concentrarsi su di essa, può indurlo a votare con superficialità per sbrigarsi il più velocemente possibile, o addirittura può farlo rinunciare a votare. Se invece si sa in anticipo cosa verrà chiesto, al momento di votare si potrà esprimere tranquillamente il proprio parere, qualunque esso sia.

     Ora la mia speranza è, come ho detto, che le persone si informino in ogni modo sulle questioni che saranno oggetto del referendum, poiché esse cambieranno la vita del nostro paese. Tuttavia, mi rendo anche conto che c’è gente che non ci sta capendo nulla o che non ne sa nulla. Quindi, fermo restando che l’opinione dev’essere libera e personale, spenderò due parole su ciascuno dei tre temi, sperando che esse fungano almeno da spunto per coloro che sono più all’oscuro sulla questione, ma che vogliono comunque capirci qualcosa.

     Partiamo dal legittimo impedimento: esso è un insieme di norme che permettono a un imputato di non comparire in tribunale durante un processo. Questa cosa, apparentemente priva di importanza, assume invece importanza enorme se si pensa che in Italia in questo momento ci sono molte personalità importanti appartenenti proprio al mondo della politica che hanno tutto l’interesse a sottrarsi ai processi che stanno subendo per aver commesso gravi reati (e in questo il nostro premier non smette mai di essere un esempio fulgido). Il legittimo impedimento è una norma fatta apposta per evitare che politici come Berlusconi vengano processati. Immaginate: Berlusconi sfrutta il legittimo impedimento per non comparire ai processi, i giudici si vedono costretti a rimandare le sedute e intanto il tempo passa, i tempi del giudizio si dilatano enormemente e questo è grave perché la giustizia italiana, con tutti i suoi cavilli e codicilli, è già abbastanza farraginosa di suo e normalmente fa durare i processi troppo, troppo tempo (al punto che poi qualcuno fa cadere il processo in prescrizione e se la svigna); durante quel tempo perso Berlusconi si sottrae al giudizio e ha la possibilità di portare avanti i suoi progetti relativamente indisturbato, può apportare le modifiche necessarie ai codici legislativi in modo che la legge non possa più processare chi, come lui, commette certi reati per avere dei vantaggi.
     La scusa che i sostenitori del legittimo impedimento hanno trovato per giustificare questa cosa è che il lavoro di ministro assorbe troppo tempo... Oooh, poverini questi ministri che si sbattono 25 ore su 24 a lavorare per il bene del paese; rinunciano a tutto, questi ministri, non hanno mai tempo per loro, figuriamoci per la legge! Non sono liberi di organizzare, che so?, una festicciola nelle loro ville, magari con delle ragazze, così, tanto per tenere il clima allegro; non possono farsi un giro sul loro yacht; non possono spendere i milioni che guadagnano ogni anno... e oltre a questo dovrebbero anche subire il fastidio di presentarsi in tribunale? Per quale futile motivo poi? Perché potrebbero aver commesso dei reati! Certo che non c’è proprio rispetto per la gente che rub... ehm... che lavora!
     Scherzi a parte, questa cosa del legittimo impedimento, oltre a permettere a chi ha la coda di paglia di svignaserla dal fare i conti con la giustizia, avrà anche l’aggravante di aumentare la spaccatura sul piano sociale tra i cittadini e i loro rappresentanti: bisogna che queste persone si mettano in testa che le legge è uguale per tutti!
     Ora io, che non voglio il legittimo impedimento, decido di abrogare le norme che lo disciplinano, quindi voterò “Sì” al quesito sul legittimo impedimento.

     E veniamo alla questione dell’energia nucleare. Nel 1987 gli italiani, tramite referendum abrogativo, rinunciavano alle centrali nucleari. Oggi, per la serie “La storia insegna, ma noi ce ne fottiamo di imparare”, noi italiani siamo ben lieti di fare un passo indietro e ci è stata riproposta l’opportunità di ritornare a questa forma di approvvigionamento energetico. Certo, è vero che il nucleare rappresenta una fonte allettante di energia, perché si basa su processi fisici che liberano una grande quantità di energia, tuttavia molti e molto complessi sono gli effetti collaterali e le questioni legate a questo mondo, di cui alcuni voglio portare alla vostra attenzione.
     Prima di tutto produrre centrali nucleari significa per forza produrre scorie radioattive che dovranno pur essere smaltite in appositi centri. Ricordiamo che le scorie, se non conservate bene, provocano gravissimi danni agli esseri viventi, perché hanno il potere di modificare il DNA dei tessuti animali e vegetali e questo significa malformazioni alla nascita per uomini e animali, ma anche aberrazioni nei campi coltivati, con grandissimi danni all’agricoltura e all’allevamento.
     Inoltre pensate a quante sono le strutture in Italia abbandonate a se stesse o mal tenute, pensate agli ospedali che non sono a norma (ce n’è uno a due passi proprio da casa del sottoscritto), pensate che non siamo neanche capaci di risolvere il problema dei rifiuti creando siti di stoccaggio... Ma questo non è segnale di nulla? Vorrà pur dire qualcosa! Vuol dire che se non siamo capaci di gestire questi problemi, figuriamoci se la nostra burocrazia è all’altezza di gestire infrastrutture delicate come delle centrali nucleari. Non abbiamo né la mentalità, né il retroterra economico e culturale per un passo del genere.
     Ancora, non dimentichiamo che l’Italia è territorio sismico: vedi il terremoto dell’Irpinia del 1980, vedi il territorio in Umbria e nelle Marche del 1997, vedi il più recente terremoto dell’Aquila... Un territorio come questo mal si presta ad accogliere impianti nucleari e se volete pensare alle conseguenze che ciò potrebbe avere, basta pensare al caso del Giappone.
     Le fonti di energia alternativa ci sono, esistono e sono anche più di una. C’è l’energia solare, c’è l’energia eolica, ci sono le auto a idrogeno (quelle che dalla marmitta fanno uscire purissima acqua sotto forma di vapore!), ma gli interessi economici di pochi privati fanno sulla politica pressioni tali da spingere i governi ad adottare politiche energetiche che facciano guadagnare i pochi squali monopolisti, ovviamente a nostre spese.
     Anche qui io, che non voglio l’installazione di impianti nucleari in Italia, al quesito relativo al nucleare voterò “Sì”, così abrogherò le norme che regolano la sua messa in atto.

     Infine c’è la questione della gestione delle risorse idriche, meglio conosciuta come privatizzazione dell’acqua. L’acqua è un bene che si paga: e già questo è molto ridicolo, perché parliamo di un bene di prima necessità, esattamente come l’aria, senza il quale non si potrebbe vivere, quindi dovrebbe essere libero e gratis per tutti. Se il referendum sull’acqua non funziona, la gestione dell’acqua andrà in mano ad aziende private, che quindi non avranno concorrenti sul mercato: questo vuol dire che quelle aziende, avendo il totale controllo del mercato idrico, potranno imporre i prezzi che vorranno. Cioè: pagheremo l’acqua ancora di più. E non serve un laureato in economia per capirlo. Nel referendum i quesiti relativi all’acqua sono due e questo è il motivo per cui i temi sono tre, mentre i quesiti sono quattro. I due quesiti sulla privatizzazione dell’acqua sono stati fortemente voluti dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua.
     Ai due quesiti sulla gestione dei servizi idrici io voterò “Sì”: in questo modo evito che si attui la privatizzazione dell’acqua.


     Quindi, ricapitolando: è necessaria la partecipazione della metà degli aventi diritto al voto più uno affinché il referendum abbia valore. I quattro referendum si esprimono su tre temi importanti (i quesiti sull’acqua sono due) ed è importante fare attenzione alla forma della domanda. Voterà “Sì” il cittadino che vorrà cancellare la norma presentata in ciascun quesito: per esempio io, che non voglio il nucleare in Italia, voterò “Sì” al quesito sul nucleare; voterà “No” il cittadino che vorrà conservare la norma intatta. Chiaro?
     Qualunque sarà la vostra scelta, mi auguro che la facciate con un minimo di informazione e coscienziosità, perché siamo in gioco noi stessi e se si dovesse fare la scelta sbagliata sarà veramente dura per questo paese che è già in ginocchio per molti problemi.
     Vale la pena ricordare, sempre per capire le dinamiche che stanno dietro a certi eventi, che i quesiti per il legittimo impedimento e per il nucleare sono stati proposti dal partito Italia dei Valori e che sulle reti nazionali (Mediaset in primis) non si parla di questo referendum: anche questo vi serve per comprendere le ragioni di certe scelte e per capire chi ha la coda di paglia.

     Ci vediamo a giugno!



sabato 14 maggio 2011

Passerotto, non andare via

     No, tranquilli. Stavolta non farò alcun commento... Del resto, cosa potrei dire? Vox populi vox Dei...!


C’è premier e premier

     C’è chi dice che l’Oriente sia molto più civile dell’Occidente. A questa diceria voglio dare conferma facendo un parallelo ispirato a fatti di alcuni giorni fa. Prendiamo due paesi che attualmente stanno fronteggiando due tipi di crisi: da una parte il Giappone, vittima della recente crisi nucleare della centrale di Fukushima; dall’altra l’Italia, che traballa sempre più a stento sotto il peso della crisi economica (e, aggiungo, sociale), più lenta e dilatata nel tempo, ma non meno grave per l’assetto democratico del paese. Consideriamo poi i due premier che attualmente si stanno impegnando per fronteggiare le rispettive crisi: da una parte il Primo Ministro Naoto Kan; dall’altra il “Cavaliere” Silvio Berlusconi.


Il Primo Ministro giapponese Naoto Kan.
     10 maggio 2011. Giappone. Il Primo Ministro Naoto Kan rilascia un’intervista in cui dichiara che rinuncerà al suo stipendio perché «Insieme con la Tepco [la società che gestisce la centrale di Fukushima] il governo ha una grossa responsabilità per l’incidente nucleare, visto che ha perseguito una politica energetica basata sul nucleare». Cioè: questo signore, capo del governo giapponese, si è decurtato da solo lo stipendio (quando non era tenuto a farlo), con la motivazione che, poiché il governo ha scelto di passare al nucleare, allora si è tacitamente assunto la responsabilità di tutto ciò che riguarda il nucleare!!! Pensate a una cosa del genere fatta da noi in Italia: sarebbe da ridere. Beh, per la verità qualcuno tentò di proporre una cosa analoga. Io ricordo di un certo Antonio Borghesi (Italia dei Valori), che propose di abolire il vitalizio, ovvero quello stipendio “extra” che i parlamentari prendono a vita per il semplice fatto di essere stati parlamentari per almeno due anni. Una somma che varia dai 3000 ai 9000 euro al mese. E il vitalizio viene preso al di fuori dello stipendio di parlamentare, cioè è una cosa a parte. Ovviamente la proposta di Borghesi fu bocciata irrisoriamente.
     Ma torniamo al caso del premier Kan: in questo caso siamo di fronte a una politica che si assume addirittura da sola la responsabilità di quello che fa, senza che qualcuno la metta di fronte alle sue contraddizioni (ho detto “addirittura”: questo tradisce il fatto che anche io stia cominciando a considerare normale quello che avviene da noi). Non dico che non ci possa essere un tornaconto personale: di certo, come minimo, l’immagine di questo ministro ne uscirà irradiata! Ma intanto qualcosa di concreto è stato fatto e non a titolo personale: non è il ministro che si è assunto le sue responsabilità, ma il governo intero! E questo è un buon modo di fare politica secondo me. L’esempio del premier è stato seguito dal presidente della Tepco e da altri sette dirigenti di questa compagnia: una volta accertate le responsabilità dell’accaduto, coloro che sono chiamati in causa si sono subito rimboccati le maniche. Queste persone, Kan primo fra tutti, rinunceranno ai loro compensi per il tempo necessario per arginare la crisi. I soldi raccolti serviranno per rimediare alle perdite e ai danni, assieme agli altri fondi raccolti con mezzi diversi. Ah, ’sti giapponesi!





Berlusconi al PalaSharp assieme a Letizia Moratti.

     7 maggio 2011. Silvio Berlusconi è al PalaSharp di Milano. Sta facendo un comizio per lanciare Letizia Moratti per le prossime elezioni. Durante il discorso, quando gli spalti si stavano ormai svuotando, dice una frase: «Questo governo ha lavorato bene…». Per Vincenzo Michelini, 70 anni, pensionato, che stava assistendo al comizio, è veramente troppo e allora, vista la baldanza del premier, gli chiede dalla platea: «E per le pensioni cos’hai fatto?». Berlusconi finge dapprima di non sentirlo, poi, quasi d’impulso, si volta a lui e gli dice, serioso e irritato: «Ci vediamo fuori»… Ma poi precisa: non per fare a botte, «ma perché le spiego». Michelini viene quindi portato… anzi, no: trascinato fuori dalla scorta e, con qualche calcio, viene fatto uscire. Ai giornalisti che vorrebbero avvicinarsi viene negato l’accesso all’area e solo poche riprese amatoriali sono riuscite a sbirciare dietro le quinte.
     Gli spettatori intanto rumoreggiano: sta parlando il premier, cribbio! Non è ammessa replica! Silvio non è tenuto a rendere conto di quello che dice! Perché per un italiano un politico può andare in televisione, rilasciare interviste, salire su un palco e dire anche il falso e la gente non deve fermarlo quando lo dice. Qualcuno direbbe: «Ma non è educazione interrompere qualcuno che fa un discorso». Io invece dico che l’educazione passa un attimino in secondo piano quando si assiste al tentativo di convincere la gente di qualcosa che non è vero, o almeno dico che, quando uno dice una cosa, si deve assumere la responsabilità di quello che dice e deve mettersi in testa che ne deve rendere conto, cioè deve poterlo provare, perché se non può provarlo (in quanto non è vero) allora sta mentendo, sta prendendo in giro, sta facendo propaganda ai suoi interessi sulle spalle della gente. E questo non è democratico.
     E Silvio, che non è abituato a essere contraddetto, Silvio per cui il contraddittorio non rientra nemmeno nell’ambito della normale amministrazione della politica, subito zittisce Michelini e lo fa portare fuori dai suoi uomini. Poi, poiché è una volpe, sfrutta subito il fatto appena accaduto per caricare ancora di più la pubblicità alla sua immagine e aumentare la frattura tra gli elettori dicendo due cose: «A noi liberali non passerebbe mai nella testa di andare a disturbare una comunicazione di un leader della sinistra nei confronti del suo popolo»; e poi «…e anche questi comportamenti sono per noi un motivo in più per votare sì alla libertà». È questo è marketing! Puro marketing!
     Ora, per me lo scandalo non sta tanto nel fatto che Silvio abbia sbattuto la porta in faccia a un elettore che voleva spiegazioni (ho sopportato ben altro da questo povero uomo), ma un principio più generale, ovvero: quando il potere parla, parla al popolo e non con il popolo. La comunicazione tra chi sta al potere e chi elegge è solo apparente. È una parvenza di democrazia, un contentino.
     Esattamente come avviene in una pubblicità, in cui il consumatore deve guardare il prodotto, abbellito bugiardamente in mille modi e con mille trucchi, e imparare a desiderarlo (stabilendo così una comunicazione a senso unico: dal venditore al consumatore), così questo modo di fare politica prevede che un politico si dipinga delle migliori qualità in modo che gli elettori possano “comprare” le sue bugie. E gli elettori devono tacere nel frattempo. Ogni giudizio critico dev’essere sospeso. Beh, non è questa la mia idea di politica. Non è questa neanche la mia idea di comizio. Volete un controesempio per convincervene? Se andate a teatro, pagando il biglietto, e l’attore comincia a recitare da cani o non soddisfa la vostra richiesta di pubblico voi non ve ne andreste? Non gli gridereste almeno qualche “buuu”? O se andate al cinema e il macchinista fa casino con la pellicola, rovinandola, voi non chiedereste di essere rimborsati? In casi del genere vi ribellereste e fareste bene. E perché allora un politico può salire su un palco sentendosi libero di mentire o negando le spiegazioni che avrebbe dovuto dare, senza che ci si debba ribellare? È come se poi l’attore dicesse «L’attore sono io e stasera recito quello che voglio io»; o se il macchinista del cinema dicesse «Oh, che volete? Ho rovinato la pellicola e mo’ ve ne metto un’altra».
     Il guaio è che a molti questa, nel mondo della politica, non appare neanche più una contraddizione, ergo non è una cosa strana. Naturalmente sappiamo bene il motivo di tutto questo: Berlusconi non può permettere che qualcuno gli chieda di rendere conto davanti a tutti delle sue contraddizioni, proprio mentre si sta pubblicizzando, poiché non potrebbe difendersi. Quest’uomo sa bene di essere vulnerabile su molti aspetti e deve eliminare ogni imbarazzo pubblico che lo metta in cattiva luce.