domenica 27 febbraio 2011

Scripta manent, n. 4 - I passi dell’addio

Dopo il Sanremo di Roberto Vecchioni mi pare opportuno postare, per la mia rubrica Scripta manent, proprio un passo dello stesso Vecchioni. Un passo tra i miei preferiti, tratto dal suo romanzo Viaggi del tempo immobile. Si tratta delle ultime pagine del romanzo, in cui viene narrata la separazione, stridente e dolorosa, tra la poetessa Saffo e la sua allieva Anattoria.
                Il passo consiste nelle parole di Saffo mentre riflette sulla partenza imminente della sua allieva prediletta, che ella ama come solo una poetessa può fare. Sono parole che hanno l’amarezza della nostalgia per quello che lei non avrà più, ma anche la dolcezza del ricordo di quello che ha avuto; e sono, anche, parole che suggeriscono una bella immagine di quello che è il legame tra due persone, che parlano di ciò che avviene non quando due persone si scambiano amore reciprocamente, bensì quando due persone, amandosi, partoriscono nel mondo qualcosa di nuovo che prima non c’era. Parlano, queste parole, della potenza e dell’ostinazione di quel legame.
                Ma più di tutto, il passo insegna una cosa bella: che quando due persone si separano, il dolore che ne deriva dipende dalla persona che resta, non da quella che parte. Chi resta, infatti, deve accettare l’allontanamento, che è stato già accettato da chi parte, proprio perché parte! Per chi resta il separarsi è uno status nuovo, mentre per chi parte è una realtà già familiare.


gdfabech

«Quando due si lasciano, non parte chi se ne va: parte chi resta. Chi se ne va era partito già molto tempo prima. All’apparenza è lei a prendere la nave, lei a muoversi: ma è un falso movimento, il suo; è come se fossi io a camminare all’indietro, senza accorgermene. Per lei non c’è partenza, è ferma nel suo nuovo amore – non cambia stato la sua anima, quieto, alla fonda, il desiderio. È chi resta, invece, il solo a partire, cambiare condizione, forma del vivere, giornate, veglie, sussulti. È chi resta a non ritrovarsi più in quel posto, in quella geografia conosciuta di carezze e pensieri, e deve spezzare, andarsene, cambiar nome all’amore che non riconosce. È di chi resta l’unica partenza».
Questo, non altro pensiero, si muoveva a Saffo nel petto, la notte in cui salutò Anattoria, l’achea, la bella e le intrecciò l’ultima ghirlanda perché ricordasse, anche con quell’uomo. Un uomo gliela portava via: un uomo e una nave. Da lì, da quella spiaggia di Mitilene, cento, mille ne aveva viste passare di navi, e tutte da guerra.
«Gli uomini vanno per mare perché sono come il mare, tempesta e passione, onda incerta, dubbiosa: incerta pure la meta, e mai l’ultima. Gli uomini sono quella rabbia senza fine di scoprire tutto, di insinuarsi ovunque, come il mare, al falso, dolce carezzar di spuma, quando il vento del cuore, a tratti, si placa; e del mare hanno l’inconsistenza, il lungo canto illusorio e la violenza di tamburo battuto, fino al sacrificio. E non hanno colore, come il mare. Perché il mare altro non è che il riflesso del cielo, è un cielo capovolto: e in questo riflesso attraversano al contrario la verità e la vita. E meno bastano a se stessi, più devono avere cose: ricchezze, imperi, schiavi, potere. Di nessun altro deve essere tutto ciò che non è loro: rompono, distruggono, annientano quello che non possono avere. E il cielo. Forse il cielo siamo noi. Noi non riflettiamo la luce, prendendo altrove colore, noi siamo colore. Non muoviamo burrasche livide e impercorribili: siamo brevi temporali o nere confessate agonie; ma di più, molto di più, tenero, sconfinato azzurro e canto di culla, di lavoro e poesia. Ma forse sto pensando così solo perché tu te ne vai. Penso così solo perché tu mi lasci».
E l’uomo era giovane, l’uomo era bello e l’avrebbe portata lontano, in Lidia, a Sardi, danzando la groppa di cavalli pezzati, ed era bella Anattoria, quella sera, alta nel lungo finissimo velo, struggente alle pieghe di chitone e doppia la faccia, che guarda ora il mare, ora i piedi di Saffo.
«Ti amo», disse all’improvviso Anattoria.
«Questo non avrà mai il tuo sposo: questo sapere dell’amore. Mi sento morire all’idea delle sue carezze sulla tua pelle e ancor più dei sorrisi, i tuoi, ai suoi ritorni. Non c’è musica, non c’è rosso tramonto che mi possa quietare, non c’è un verso, uno solo, che io possa riascoltare nella bellezza che aveva prima, quando lo confusi all’incerto leggerlo della tua bocca sulle mie labbra. Non c’è un dio che possa saettarmi o lavarmi d’acqua, non c’è Afrodite che possa ridarmi, inimitabile, quel tuo fuoco: ma questo so, che per quanto lui ti abbia, per quanto ti desideri, ti copra e frema; per quanto tu possa aspettare, conosciuto al battito, i rumori dei suoi passi e respirare nell’aria l’odore dell’assenza e dell’attesa, per quanto corra nelle vostre vene sangue veloce e si tramuti in grido nell’attimo più bello: tu non sei lui, e lui non è te. E invece io parlo ed è la tua voce, muovo le mani e sono le tue, tuo il mio sguardo, i tuoi pensieri crescono in me, e pure i sogni sono i sogni di Anattoria. E darei vita e morte perché non mi straziassi di questa presenza. Esserti e non averti: qui sta lo strazio, perché altro sarebbe averti, e mille volte solo averti. Averti, stringerti fino a farti male, come farebbe un soldato ubriaco, sordo agli strilli, poderoso all’assalto e fiume in piena. No, no, questo no. Era soffio tra noi e tenerezza. Ma sovrumano e così piccolo insieme è questo distacco: così in fondo alla terra, così a tutti sconosciuto, un punto qualunque di dolore. Quando un uomo perde un amore, perde solo qualcuno, qualcosa. A noi non è concesso: non te ne vai tu sola, ma il mondo che abitavamo insonni, come gli dèi. Non perdo Anattoria, perdo l’universo che eravamo. Staccatasi una parte, quel che resta dell’animo non sa vivere a sé: si sgretola, si disfa, è polvere».
E già d’altri rumori, altri suoni, voci, passi a danza, e già d’altre risate era piena la spiaggia: giungevan di corsa le compagne a piedi nudi, d’importuna felicità chiassose e unite in coro a festeggiar la sposa.
La luna ebbe un sussulto, sparì d’un tratto e tutto parve oscuro sogno all’alba, quando hai ancor più paura.
«Ti amo», sussurrò Saffo camminando all’indietro.

Roberto Vecchioni, Viaggi del tempo immobile


giovedì 3 febbraio 2011

A ruota libera: i 10 spot di automobili più belli

     Il mondo della pubblicità è davvero ricco di trovate fantasiose. Certo, guardandolo con occhio critico verrebbe da dire che tutti gli spot hanno in comune il fatto di essere manipolatori, ingannevoli, perché devono indurre il pubblico a comprare. E infatti dietro uno spot lavorano quadre di professionisti: grafici, psicologi, scenografi, attori, musicisti… Ma, se lasciamo un attimo da parte l’analisi “critica” della pubblicità e ci concentriamo invece sul fattore estetico, dobbiamo ammettere per forza che nella maggior parte delle varie réclames ce n’è di fantasia!
     Certo, molti degli spot pubblicitari che vediamo in TV sono vergognosi, spesso volgari, sterili o anche banali, come per esempio gli spot pubblicitari dei cellulari. Altri invece sono più carini. Altri ancora sono decisamente geniali! Tra questi ultimi ci sono molti spot di automobili. Quanti ne conosciamo? Fin da piccoli ne avremmo visti centinaia in televisione e di ogni tipo! E io, fin da quando ero bambino, ho sempre constatato che le trovate più bizzarre e creative sono state usate nelle pubblicità delle autovetture.
     Ora, elencare tutti gli spot di auto più belli è cosa da suicidio, però, scavando nella memoria e cercando in rete, mi è piaciuto linkarvene qui almeno dieci, tra i più belli che io ricordi, in una piccola classifica dal meno carino al più fico. Chissà che, guardandoli (o riguardandoli), non venga anche a voi da sorridere per la genialità che quei mattacchioni si sono inventati!


Alfa Romeo 159 Sportwagon
La bellezza di questo spot non fa affatto leva sull’auto in questione, di cui si vede una manciata di fotogrammi solo alla fine; piuttosto esso è degno di nota per l’aforisma di Erasmo da Rotterdam sulla follia come elemento naturale dell’uomo, letto da una calda voce maschile sulle note di Goldfish di Michael Andrews.


Ford Focus
Un palco, un’orchestra e degli strumenti musicali alquanto atipici. Titolo della melodia: Ode to a Ford, “Ode a una Ford”, pezzo espressamente scritto per questa pubblicità. Dove sta il bello? Nel fatto che la melodia è “suonata” usando i pezzi originali dell’auto: marmitte, sportelli, volanti, cofani… tutti riarrangiati a mo’ di strumenti musicali. La melodia è carina e a chi volesse ascoltarne la versione integrale lascio il video completo qui. Lo slogan viene da sé: «Nuova Ford Focus: magnifica esecuzione».


Peugeot 207
Al movimentato ritmo di Heartaches dei The Marcels, due coccinelle innamorate e piene di focosa passione si lasciano andare in espliciti scambi di effusioni nell’abitacolo dell’auto qui pubblicizzata, al punto da farla dondolare in mezzo al traffico in pieno giorno, quasi fosse l’amplesso della tipica coppietta clandestina costretta a “farlo in macchina” il sabato sera nell’angolino appartato di un parcheggio. Il tutto sotto gli occhi increduli dei passanti, che vedono l’auto muoversi apparentemente da sola. Lo slogan è esplicativo: “New Peugeot 207… and everything is more intense!”




Audi S3
Talmente leggera e guidabile che la si può usare per suonare. Questo è ciò che vuole dire questa pubblicità, in cui vediamo una famosa auto tedesca destreggiarsi in giro per una città, su strade costeggiate da bottiglie di vetro diversamente riempite d’acqua. Passando vicino a esse, con appositi plettri montati sui cerchioni, l’auto le sfiora e, dosando bene la velocità, ne fa uscire un motivetto famoso che riconoscerete subito.


Mercedes Benz Classe C
La vettura viene qui descritta col mix di due qualità che devono riassumerla: la potenza, personificata da un toro selvaggio, e l’eleganza, che ha le forme di una bella ballerina. Le immagini di questi due protagonisti sono prese da due video diversi sovrapposti uno all’altro, così da essere mostrati contemporaneamente: in questo modo, attraverso un sapiente uso di questo semplice effetto speciale, vediamo il toro e la ballerina muoversi armoniosamente su uno sfondo comune, con grande sincronia di movimenti e di pose, come se si fossero accordati prima. Come a raccontare, con gesti diversi, il succo della questione: che cioè «la potenza incontra l’eleganza», come dice lo stesso spot in conclusione. Molto poetico!


Audi A3 1.6 TDI Young Edition
Una bella metafora per una bella macchina. Un gigantesco cubo di Rubik di cristallo 9×9×9 è sospeso a mezz’aria in una stanza: in ogni cubetto che lo compone c’è un pezzo dell’automobile, che all’inizio è quindi frammentata e dispersa nelle sue componenti all’interno del cubo. Ma, proprio come il famoso rompicapo inventato da Ernõ Rubik nel lontano 1974, anche il cubo di cristallo inizia a ruotare attorno ai suoi assi e ad ogni rotazione i pezzi della vettura si incontrano, incastrandosi uno nell’altro. Mentre la bella colonna sonora di Thomas Süss (creata appositamente per questo spot) va avanti, vediamo l’auto prendere forma mano mano dentro questa geometria intelligente. Alla fine, quando il cubo è stato “risolto”, l’automobile nel suo complesso appare montata all’interno delle facce trasparenti. La scelta di questa rappresentazione si giustifica nello slogan dello spot: «Tecnologie efficienti, intelligentemente combinate».




Citroën Xsara Picasso
Uno spot famosissimo che tutti conoscono. Cominciava con la canzone dei Pink Martini Sympathique. Siamo in una catena di montaggio di automobili: uno degli spruzzatori che dovrebbero verniciare il telaio dell’auto si lascia prendere dalla sua vena creativa e, invece di stendervi sopra la solita, sterile vernice grigia, si sbizzarrisce a comporre dei motivi palesemente ispirati alla pittura cubista. Un sorvegliante passa per il giro di controllo, lo spruzzatore lo nota: rimette subito a posto il telaio-tela coprendo gli schizzi proibiti… ma non si nega la soddisfazione di lasciare almeno una firma su quell’auto e perciò si avvicina alla fiancata e scrive, chiaro ed evidente, “Picasso”.


Volkswagen Polo
                Uno spot che nella bigotta Italia non potrebbe mai andare in onda. E infatti viene direttamente dalla Germania, accompagnato dal pezzo di Darwin Reez Radar detector. Questa volta, però, non vi scrivo alcuna didascalia, perché per apprezzare lo spot lo si deve davvero soltanto guardare: raccontandolo, vi toglierei il gusto. Alla fine dello spot appare una scritta: “Unverschämt gut”. È un gioco di parole: significa “incredibilmente buono”, ma “unverschämt” da solo vuol dire “sfacciato”, “sfrontato”, “spudorato”, “insolente”. Capirete perché…




Citroën C4
Un’auto robot, appena “svegliata”, fa stretching vicino a un cartello di un parcheggio a pagamento. Finiti gli esercizi, si ritrasforma in autovettura. Ma, appena parte la musica Jacques your body (Make me sweat), eccola che non resiste, si rialza letteralmente “in piedi” e, ritrasformatasi in versione robot antropomorfo, si scatena in una simpaticissima danza che ricorda le movenze di Tony Manero in Saturday night fever. Evidentissima la fonte cinematografica cui lo spot s’ispira: si tratta del film Transformers, dove i protagonisti sono appunto organismi robotici che si trasformano in veicoli di locomozione. Uno spot fenomenale!
Di questo spot esiste anche una seconda versione, sempre ispirata al film Transformers, in cui un’altra auto robot si fa una rilassante pattinata sfrecciando rapida e snella sulla lastra ghiacciata di un lago congelato in pieno inverno: potete guardare lo spot qui.


Peugeot 206 Coupé Cabriolet
Lo spot più bello di tutti secondo il modesto parere del sottoscritto. Al centro di un giardino principesco, colorato dalle note di Simply beautiful di Al Green, un pavone maschio si avvicina alla Peugeot, scrutandone incuriosito le linee eleganti. Preso dall’invidia, il pavone decide di lanciare all’auto il guanto di sfida e, messosi a paupulare con tanto di eco per ribadire il suo primato di più bello, eccolo aprire, fiero e orgoglioso, la sua bellissima coda. La vettura non si scompone: si limita ad aprire il suo tettuccio decappottabile con altrettanta serafica lentezza. Il pavone resta colpito: non se l’aspettava! Riconosciuta la sua inferiorità, richiude la coda e abbassa la testa in segno di sottomissione. GENIALE!!!


martedì 1 febbraio 2011

La telefonata di Masi ad Annozero e altri modi di boicottare l’informazione

     La sera dello scorso 27 gennaio andava in onda l’ennesima puntata di Annozero, programma di approfondimento politico in onda su RAI Due e condotto dal giornalista Michele Santoro. Ora, essendo Annozero un programma di approfondimento politico, esso approfondisce – appunto! – eventi di cronaca politica, invitando vari ospiti (politici e non) a parlare su un tema. Quel giorno, così come ancora in questi giorni, il tema in questione era il cosiddetto Ruby-gate, ovvero lo scandalo che ha coinvolto il Presidente Berlusconi, che è tutt’ora indagato dalla magistratura con la duplice accusa di concussione e prostituzione minorile.
     Il programma inizia. Come di consueto, parte il “Prima di Annozero”, ovvero un’anteprima in cui vengono mostrati al pubblico dei documenti che introducono il tema della serata. I documenti mostrati in questo anteprima sono le dichiarazioni e le testimonianze di alcuni dei protagonisti del Ruby-gate, tra cui Lele Mora, che raccontano una parte di ciò che avvenne ad Arcore durante le serate di bunga-bunga.

Mauro Masi, attuale direttore generale
della RAI.
     Subito dopo il “Prima di Annozero”, però, ecco che in diretta arriva una telefonata: è Mauro Masi, direttore generale della RAI. Con uno strano fiatone che tradisce palesemente la sua ansia e la sua agitazione, Masi dice a Santoro che si sente in dovere di dissociarsi dal modo con cui il giornalista sta conducendo la sua trasmissione e che addirittura la sua condotta starebbe violando le regole con cui è consentito ai programmi televisivi di narrare vicende giudiziarie (le vicende giudiziarie a cui Masi fa riferimento sono appunto le indagini sul caso Ruby). Allora Santoro fa appello alle responsabilità che Masi ha in qualità di direttore generale e gli chiede formalmente se debba interrompere la trasmissione, visto che egli parla di violazione di regole: «Io vado in onda solo se sto rispettando la regole». Ma Masi fa il vago, tituba e non si permette di interrompere la puntata, limitandosi a ribadire che egli, a livello personale, vuole prendere le distanze dal programma. Irritato, Santoro saluta allora il direttore con un seccato «Buonanotte!». Prima di fare un commento a questo brevissimo scambio, ascoltiamo le esatte parole che i due si sono scambiati…


     Potremmo fare molte riflessioni sul motivo che abbia spinto Masi ad intervenire addirittura in diretta. Di certo non sta in piedi la scusa della violazione delle regole di rappresentazione mediatica delle vicende giudiziarie, poiché, se davvero Santoro avesse violato qualche regola, non ci sarebbero stati santi: il programma avrebbe chiuso di sicuro. Tuttavia è strano che il direttore generale della RAI si prenda il disturbo di chiamare in diretta durante la messa in onda di un programma della sua stessa rete, solo per dire che vuole prenderne le distanze. Verrebbe da rispondere: «E chi se ne importa?». Ognuno è libero di pensare ciò che vuole, ma non si comprende che utilità abbia disturbarsi addirittura a telefonare in diretta per dirlo! Se la telefonata fosse servita a far sospendere la trasmissione allora sarebbe stata una cosa motivata: in quel caso l’intervento del direttore generale sarebbe stato appropriato e tempestivo. Ma, poiché non sono state violate regole, allora anche all’occhio più ingenuo questa dichiarazione puzza un po’.
     Puzza in particolare di servilismo, poiché esso aveva tutte le sembianze del monito. Quelle parole suonavano come un invito a Santoro a stare attento perché, lassù in alto, qualcuno non gradisce che si parli di certi argomenti, anche se questi argomenti riguardano direttamente e da vicino il mondo politico italiano.
     Di cosa voleva, il nostro Masi, che si parlasse in un programma come Annozero? Voleva forse che si facesse una bella puntata sull’aumento del prezzo delle zucchine? O forse avrebbe preferito che Santoro dedicasse la puntata all’uscita dell’ultimo concorrente del Grande Fratello? Annozero è un programma politico, ergo vi si affrontano temi politici. E poiché Silvio Berlusconi è il primo politico del nostro paese, allora fare informazione sulle vicende giudiziarie a suo carico rientra perfettamente nella rosa dei temi di un simile programma.
     E questo vale tanto più se consideriamo che in Mediaset (la TV che appartiene a Berlusconi) di queste cose, ovviamente, non si parla mai. Oh, in Mediaset hai voglia di trovare culi e tette! A Mediaset il pubblico può distrarsi felicemente con le facce da soap opera di Barbara D’Urso, oppure con la titanica incompetenza di Alessia Marcuzzi, o ancora con la patetica mancanza di imparzialità di Emilio Fede… Ma guai a chi osa sollevare temi scomodi contro il premier! Quelli sono argomenti tabù. La gente deve essere portata a pensare ad altro, deve tenere la mente occupata in queste frivolezze e non deve avere accesso alla vera informazione.
     Considerato questo, ben venga che in RAI qualcuno si “azzardi” a parlare di queste tematiche. Badate che non faccio apologia della RAI, né di Annozero, meno che mai di Santoro stesso, di cui non mi importa nulla. Il fatto è che la telefonata di Masi è solo l’ultimo segnale di qualcosa di più grosso: la libertà di informazione nel nostro paese non è più garantita e rispettata come una volta. Magari qualcuno, da un’altra rete, se vuole può dire cose opposte a quelle dette da Santoro (evviva il pluralismo di opinioni), ma non esiste che si sminuisca in questo modo quello che, fino a prova contraria, è e resta il lavoro di un giornalista che parla portando prove e documenti ufficiali, senza inventarsi fandonie. Cosa sono questi tabù? Come ci si può permettere di screditare l’informazione in questo modo? Se a Masi non piace Annozero, che guardi L’isola dei famosi: non importa a nessuno il suo parere personale! E invece ci voleva anche la minaccia velata in diretta.
     In verità in RAI questa cosa non è nuova: sono molti i casi di censura televisiva, diretta e palese, oppure più celata e discreta. Solo per citare i casi più eclatanti: a Sabina Guzzanti fu cancellato dal palinsesto il programma R[a]iot – Armi di distrazione di massa, poiché nella prima puntata parlava delle vicende economiche di Berlusconi; il comico Paolo Rossi si vide sospeso a metà il suo spettacolo Questa sera si recita Molière poiché secondo gli esperti in RAI esso conteneva troppe parolacce (una scusa balorda per mascherare il fatto che lo spettacolo si configurava come parodia del personaggio berlusconiano); lo stesso Santoro, assieme a Enzo Biagi e a Daniele Luttazzi, dovette subire l’allontanamento dalla TV perché nei loro programmi avevano parlato di vicende che riguardavano il premier… e l’elenco potrebbe continuare.

     In apertura a Raiperunanotte (andata in onda lo scorso 25 marzo) Santoro, riferendosi ai più recenti eventi di censura mediatica firmati Berlusconi (era ancora fresco il caso della vicenda Mills, l’avvocato corrotto da Berlusconi), così parlava al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Caro Presidente Napolitano, noi non siamo al fascismo […], ma certe assonanze sono tuttavia preoccupanti!», e io mi sento di dargli ragione: questo modo di manovrare l’informazione ricorda molto da vicino quello che si faceva durante gli anni mussoliniani, quando tutto ciò che poteva infangare o compromettere l’immagine del Duce non doveva essere divulgato. Anzi, lo stesso Duce poteva controllare personalmente la stampa, la radio e i cinegiornali, affinché essi trasmettessero solo notizie che lo dipingevano come capo infallibile e immacolato agli occhi della gente.
     In questi anni, per fortuna, ci sono tante televisioni e ognuno può dire la sua; inoltre siamo ancora in democrazia e abbiamo ancora una carta costituzionale a garanzia di ciò, quindi parlare di regime dittatoriale sarebbe esagerato. Però, appunto, queste analogie ci sono! E non notarle significa avere i paraocchi. Non voglio fare paragoni biechi, ma sottolineare che è in corso un modo di fare molto pericoloso. Le verità devono essere divulgate, tanto più se il nostro capo del governo si permette di usare il suo potere come gli pare e piace, per esempio telefonando in diretta nei programmi, insultando la gente che racconta la verità sul suo conto o che semplicemente discute sui problemi che lo vedono protagonista, nella più totale maleducazione e nella piena violazione delle regole del buon senso, come se stesse nel salotto di casa sua. Come quella volta che Berlusconi telefonò in diretta da Santoro perché sentiva il bisogno di dirgli che il suo programma non gli piaceva…


                … oppure quando, molto più recentemente (era appena il 24 gennaio scorso, tre giorni prima della telefonata di Masi), Berlusconi, in preda al delirio di onnipotenza più puro e incontrollabile, alzò la cornetta e chiamò, sempre in diretta, Gad Lerner durante la conduzione de L’infedele, insultandolo maleducatamente e mettendo giù, nella massima tranquillità. Ripeto: come se stesse a casa sua.