giovedì 16 agosto 2012

Parlamento, La Malfa e Pisanu da record: sono gli highlander della politica italiana


     Voglio incollare il testo di un articolo di oggi de Il fatto quotidiano in cui si mette in evidenza una cosa: l’Italia è un paese spaventosamente gerontocratico.

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     Quasi ottanta anni di Parlamento in due, più dei 66 anni di vita del Parlamento italiano, dalla sua prima seduta il 28 giugno 1946. Il record è di Giuseppe Pisanu, per il Senato, e Giorgio La Malfa, per la Camera, che ad oggi hanno registrato 38 anni di attività nelle rispettive Camere d’appartenenza. A stilare la classifica della longevità politica è stato il senatore Idv Stefano Pedica che contemporaneamente ha lanciato la campagna “Cosa hanno fatto in questi anni?”, per dire no a chi è in Parlamento “da una vita”. Pezzo forte della campagna è un elenco di onorevoli da più d’un decennio: «Ci sono persone», fa notare Pedica, «che siedono in Parlamento da decenni. Un lungo elenco di persone che vantano da un minimo di 16 anni a un massimo di quasi 40 anni di presenze alla Camera e al Senato».
     I due recordmen. Pisanu, 75 anni, 38 anni e 128 giorni in Parlamento, si trovava già sotto i riflettori tra il 1975 il 1980 quando si trovava nella segreteria politica nazionale della Democrazia Cristiana guidata da Benigno Zaccagnini: cercarono di porre le basi del compromesso storico con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer e soprattutto dovettero gestire i 55 giorni del rapimento di Aldo Moro. Si allontanò dalla politica perché travolto dalla vicenda P2 (c’è chi lo avvicinò al nome di Flavio Carboni), ma tornò grazie a Silvio Berlusconi che al suo equilibrio dovette ricorrere dopo che Claudio Scajola firmò una delle sue tante lettere di dimissioni da ministro (in quel caso dovette lasciare il Viminale perché definì il giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Nuove Br, «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza».
     La Malfa, 73 anni, ex capo del Partito Repubblicano Italiano, partecipò – con il partito guidato dal leader Giovanni Spadolini – a molti governi del Pentapartito negli anni Ottanta. Figlio d’arte diUgo, pure lui capo del Pri tra i Sessanta e i Settanta (a lui Pertini affidò un mandato esplorativo nel 1979 che avrebbe visto il primo capo del governo non Dc, ma il tentativo fallì) Giorgio La Malfa è stato nominato ministro già nel 1980. Poi è tornato al governo pure lui con Berlusconi, assaggiando la Seconda Repubblica dopo essersi abbeverato alla Prima. 
     Il resto della top ten della Camera. Alla Camera, saldamente al secondo posto è l’onorevole Mario Tassone dell’Udc, poco noto alle ribalte televisive ma con 34 anni e 14 giorni di carriera parlamentare. Plurisottosegretario Dc, ha partecipato a governi di Bettino Craxi, Amintore Fanfani e al Berlusconi II (dal 2001 al 2006) dov’è stato promosso – in quota Udc – viceministro di Pietro Lunardi. Sembrava poter finalmente emergere dalle retroguardie quando Marco Follini dà le dimissioni da segretario, ma gli viene soffiato il posto da Lorenzo Cesa.
     Dopo Tassone si qualifica in alta classifica con 33 anni e 34 giorni Francesco Colucci: nato socialista e diventato ultraottantenne con il Pdl. Detiene un record in stile Bolt: è l’unico deputato ad essere stato eletto questore della Camera in due legislature consecutive (2006-2008 e quella corrente iniziata nel 2008). Non c’era mai riuscito nessuno nel Parlamento repubblicano (l’unico precedente risale alla Camera del Regno). 
     I due presidenti. Ecco invece due protagonisti della politica italiana e peraltro entrambi alla guida dell’assemblea di Montecitorio. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini sono entrati alla Camera per la prima volta insieme, 29 anni fa. I curricula sono arcinoti. Fini, eletto per la prima volta nel 1983, era delfino di Giorgio Almirante che lo aveva designato personalmente durante una festa a Mirabello. Poi una nuova investitura nella corsa a sindaco di Roma (1993, questa volta era Berlusconi che ancora era solo imprenditore), gli anni al fianco del Cavaliere sia all’opposizione sia in maggioranza (da ministro e da vicepremier), poi la fusione di An con Forza Italia e infine lo strappo. Casini ha una carriera analoga nella sua parte centrale (la scelta di campo a favore di B., opposizione, governo, comizi e sbandieramenti in piazza con Silvio e lo strappo finale) ma tutto era iniziato da consigliere comunale a Bologna e poi da discepolo di Bisaglia prima e Forlani poi.
     D’Alema secondo alla Turco. Prima del Partito Democratico, forse a sorpresa, è l’ex ministro Livia Turco (25 anni e 42 giorni), eletta la prima volta nel 1987, carriera tutta all’interno del Pci, poi diventato Pds (lei era favorevole alla Svolta), poi Ds, poi Pd. La Turco precede perfino Massimo D’Alema (23 anni e 125 giorni) che pur avendo cominciato a fare politica da giovanissimo è riuscito a farsi eleggere “solo” nel 1987. Poi, va detto, non si è potuto certo lamentare perché ha ricoperto quasi tutto quello che poteva ricoprire (ed è stato anche in predicato di salire al Colle: pare fosse uno dei candidati “preferiti” di Berlusconi).
     Walter Veltroni e Rosy Bindi si trovano, invece, nel folto gruppo di “diciottenni” che contiene anche nomi eccellenti come quello di Silvio Berlusconi. Primo della Lega è Umberto Bossi con 21 anni e 124 giorni seguito da Roberto Maroni (20 anni e 111 giorni).
     I senatori tra i senatori. A Palazzo Madama dietro a Pisanu c’è Altero Matteoli (ministro, ministro e ancora ministro del centrodestra berlusconiano), entrato alla Camera nel 1983 insieme a Fini e al suo Msi, come il collega di partito (allora ed oggi) Filippo Berselli. La presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro è all’ottavo posto con 25 anni e 42 giorni, più di Emma Bonino(21 anni e 90 giorni), ma soprattutto più di Franco Marini (20 anni e 111 giorni) che aveva avuto altro da fare (il sindacalista). Maurizio Gasparri e i leghisti Roberto Calderoli e Roberto Castelli sono parlamentari da 20 anni.
     Schifani, Dell’Utri, Dini, Bersani: “giovanissimi”. L’attuale presidente del Senato, Renato Schifani, è a quota 16 anni e 96 giorni: ultimo in classifica in compagnia di Marcello dell’Utri,Lamberto Dini e Marcello Pera. Fuori dalla classifica di Pedica c’è il segretario Pd Pier Luigi Bersani, giunto alla Camera nel 2001 nella legislatura numero 14 e impegnato per due anni a Bruxelles dal 2004 al 2006. E il leader Idv Antonio Di Pietro che divenne senatore per la prima volta nel 1997 (candidato a elezioni suppletive nel seggio del Mugello) ma non fu eletto nella legislatura 2001-2006.
     Pedica spiega che si tratta di “politici che hanno vissuto la prima e la seconda Repubblica e che in tutto questo tempo hanno visto crescere il debito pubblico del nostro Paese fino a 2 mila miliardi”. Pedica ha annunciato una raccolta di firme “per mettere fine ad un sistema che in questi anni ha creato tanti ‘stipendiati’ d’oro senza alcun beneficio per i cittadini”.
     L’inarrivabile Divo. Della classifica non fa parte il senatore a vita Giulio Andreotti, nonostante spetti proprio a lui il record assoluto di anni passati tra palazzo Montecitorio e Palazzo Madama: fece parte dell’Assemblea Costituente, è stato eletto nella prima legislatura e, da allora, non ha mai “saltato un turno”. Ora è senatore a vita: lo nominò il presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1991. Cossiga non c’è più, Andreotti (classe 1919) sì. D’altra parte il potere logora chi non ce l’ha.

Da sinistra: Giorgio La Malfa, Giuseppe Pisanu, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Mario Tassone e Giulio Andreotti.


… e non è mica tanto recente questa consapevolezza: già nel 1976 i vari registi del film Signore e signori, buonanotte rappresentavano così la troppo alta età media dei governanti dello Stivale.


mercoledì 15 agosto 2012

“Noi stiamo con i Magistrati”: raccolta firme a sostegno dei giudici antimafia accerchiati dallo Stato


     Questo post vuole essere un memorandum, un passaparola relativo alla raccolta firme on line che si sta organizzando in questi giorni grazie a Il fatto quotidiano per sostenere i magistrati di Palermo che stanno indagando sui rapporti tra la mafia e lo Stato italiano e che, proprio dallo Stato, sono bloccati e ostacolati nel loro lavoro.
     In questa pagina potete lasciare la vostra firma, accompagnandola al vostro indirizzo di posta elettronico (che non verrà ovviamente pubblicato) affinché tutti prendano coscienza di questo problema e affinché questi giudici non vengano lasciati soli e abbandonati in questo nobilissimo compito che è la lotta alla malavita organizzata. Per chi non conoscesse questa questione e vuole saperne di più, lascio di seguito esposte alcune delucidazioni e anche alcuni documenti video, così da farsi un’idea di ciò che sta accadendo all’insaputa dei cittadini.



     Il silenziatore democratico. Così l’ha definito don Andrea Gallo, dall’alto dei suoi 84 anni, lui che la democrazia in Italia, l’ha vista nascere… e che ora la sta vedendo morire. Si tratta dell’operazione di accerchiamento e di boicottaggio ai danni di alcuni magistrati siciliani da parte del Quirinale, sede del Presidente della Repubblica, del Consiglio Superiore della Magistratura, cioè proprio quell’organo che dovrebbe tutelare la Magistratura ordinaria garantendo la sua autonomia dagli altri poteri, dell’Avvocatura dello Stato, che difenderebbe e tutelerebbe i membri della pubblica amministrazione, della Procura generale della Corte di Cassazione e, soprattutto, da parte dello stesso Governo e tutti i politici tutt’ora sulla scena, coinvolti, fin da qualche anno, in indagini e giri che vedono come perno centrale i rapporti tra la mafia e lo Stato italiano.
     Chiunque abbia un minimo di conoscenza di ciò che è successo in Italia negli ultimi vent’anni, infatti, sa bene che grazie alle indagini di eminenti magistrati, tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stata messa in luce una sconcertante verità fino ad allora considerata un vero e proprio tabù, un vaso di Pandora al negativo mai aperto prima: il rapporto, tutt’ora esistente, tra molti politici, tutt’ora esistenti, e gli esponenti di Cosa Nostra. Nei primi anni ’90 del secolo scorso questa verità è stata manifestata. E il peggio è che fu lo Stato ad allearsi con la mafia, non il contrario. Le indagini portarono al famoso Maxiprocesso, istituito dai due giudici siciliani, che videro la condanna di una grandissima parte degli esponenti più in vista della malavita mafiosa; purtroppo giustizia non poté essere fatta anche ai danni di quei politici che si macchiarono delle stesse colpe, collaborando e congiurando ai danni della democrazia con gli esponenti di Cosa Nostra. I tempi non erano maturi, direbbe qualcuno, i politici all’epoca erano ancora troppo intoccabili. Eppure, come spesso accade nella storia, c’è sempre qualcuno che dà quella spinta in più acché un’innovazione, una miglioria venga proposta alla gente e abitui la sensibilità delle persone ad accettare una cosa mai supposta prima. Con Falcone e Borsellino la gente è stata appunto educata a questa verità: che lo Stato può allearsi con la malavita organizzata, anche se si tratta dello Stato, anche se la legge dice che non si può, anche se non ce lo si sarebbe mai sospettato. Ma «lo Stato non processa se stesso», come diceva Leonardo Sciascia, e infatti da anni i politici autori di questa, che ormai è stata definita trattativa Stato-mafia, sono ancora lì, ancora a farsi le leggi per proteggersi da soli, per cancellare dalla dicitura di “reato” quei reati che loro stessi hanno commesso o sanno di commettere; una trattativa che, come ricorda bene Marco Travaglio, non è “presunta”, ma “certa”: lo Stato si è davvero alleato con la mafia.
Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte
d'Appello di Caltanissetta.
     Ora, il problema è che in oltre vent’anni di indagini la procura di Palermo si è avvicinata sempre di più alla verità, si è sempre più vicini a procurarsi le prove che manderebbero in galera proprio questi politici che hanno voluto scendere a patti con Cosa Nostra e, in occasione della commemorazione del ventesimo anniversario della morte di Borsellino, il 19 luglio 2012, un magistrato, Roberto Scarpinato, figura di spicco in questo panorama di indagini, sale sul palco e legge una lettera, una lettera “ideale” all’amico Paolo: nella lettera, vero e proprio capolavoro di divulgazione e didattica della democrazia, Scarpinato, oltre a mettere in evidenza il vero valore della lezione lasciata da Borsellino e da Falcone, definiti come «veri costruttori di senso» delle parole “democrazia”, “giustizia”, “legalità”, non ha dimenticato di ammettere in pubblico e proprio davanti ai politici, presenti in prima fila, una sacrosanta verità: che cioè ancora oggi lo Stato italiano è sposo della mafia e che i politici continuano ad accordarsi con i mafiosi per trarre benefici personali a danno dei cittadini che hanno il dovere di governare.

     La cosa non è piaciuta agli antagonisti di questa storia… Dalle alte sfere gli “interessati” hanno preso provvedimenti, poiché Scarpinato ha parlato in maniera troppo trasparente e le accuse erano troppo esplicite! Avrebbero sollevato un polverone presso la gente e le ribellioni dal basso preoccupano sempre chi ha qualcosa da nascondere. Ecco allora che contro Scarpinato vengono presi provvedimenti disciplinari e i giudici che si occupano di queste indagini vengono accerchiati e il loro lavoro ostacolato spudoratamente, nel quasi totale silenzio dell’informazione mediatica: non un solo telegiornale che abbia parlato delle trattative tra Stato e mafia, non un solo anchorman che si sia degnato di avvisare i cittadini di ciò che è nascosto dietro le tende di questo vergognoso ripostiglio che è il dimenticatoio della nostra memoria storica, un fenomeno purtroppo tutto italiano.
     Solo Il fatto quotidiano si fa carico di questo compito: questo giornale è infatti il solo a parlare della trattativa Stato-mafia e dei pubblici ministeri che sono rimasti soli a dover lottare adesso anche contro lo Stato stesso. E così, mentre le veline di Mediaset continuano a sculettare davanti a tutti, mentre la gente continua a farsi distrarre e imbambolare da panem et Circenses di casa Berlusconi, questi pochi magistrati restano soli, quasi isolati, con uno Stato che vuole impedirgli di procurarsi queste benedette prove. Proprio quegli organi che dovrebbero elogiare e incentivare il lavoro della Magistratura, stanno invece tappando la bocca ai magistrati.

     Ma il punto, come sostiene lo stesso Scarpinato, facendo eco alle parole di Borsellino, è proprio questo: che la Magistratura non è e non dev’essere la sola a condurre la lotta alla mafia, poiché, fino a quando la gente accetterà questo fenomeno senza desiderare di espellerlo, come un cancro, allora per i giudici sarà difficili fare indagini, sarà difficile scoprire la verità, sarà difficile interrogare i mafiosi e scoprire i loro nascondigli: ci vorranno anni, ammesso che la cosa riesca. È necessario che la gente sappia cosa succede nel suo paese, è necessario che i cittadini aiutino e sostengano la lotta alla mafia, poiché è una cosa che riguarda tutti noi, soprattutto ora che sappiamo che la mafia estende i suoi tentacoli perfino in politica, e la politica si occupa, appunto, della vita dei cittadini stessi.

     Da qui prende senso la raccolta firme indetta da Il fatto quotidiano per dimostrare pubblicamente l’adesione dei singoli cittadini ai magistrati che stanno compiendo queste indagini. Mi unisco al grido di Noi stiamo con i magistrati lanciato da questa lodevole testata giornalistica e invito tutti a lasciare un segno della propria approvazione firmando on line usando il link lasciato di seguito. Se appartenete a quel genere di cittadino che ritiene che “tanto ci deve pensare lo Stato”, allora sappiate che questo non accadrà: i politici tutt’ora al potere o presenti sulla scena politica italiana non prenderanno provvedimenti per eliminare questa piaga dal nostro paese, poiché essi stessi sono in tutto e per tutto complici dei mafiosi. Occorre che noi cittadini facciamo qualcosa per collaborare con la Magistratura e questa raccolta firme è, appunto, un primo passo. In democrazia il popolo partecipa alla vita del paese perché sa che si tratta della sua stessa vita: firmare costituisce appunto il nostro adempimento al dovere di cittadino, oltre a essere la manifestazione della nostra maturità civica.

---> FIRMA QUI <---



    Oltre al link della lettura della lettera scritta dal giudice Scarpinato (vedi sopra), mi piace lasciare anche un video in cui l’ottimo Marco Travaglio riassume in poche e chiare parole tutta la ricostruzione di questa vicenda, con un focus particolare sul ruolo che il nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (sì, c’è di mezzo anche lui!) ha in alcune intercettazioni non proprio felici.




martedì 14 agosto 2012

L’appello di Alessandra, invalida totale: «Lo Stato mi ha abbandonata»


     Alessandra è affetta da amiotrofia spinale, una malattia che danneggia una parte del sistema nervoso (il midollo spinale anteriore) che è responsabile del controllo volontario di una grandissima parte di muscoli del corpo. Alessandra è costretta a vivere in un corpo di cui non può controllare e decidere i movimenti, poiché i suoi muscoli non si attivano, è invalida al 100% e la sua esistenza è fortemente compromessa. Il suo disturbo non le permette di svolgere un lavoro, di allacciarsi le scarpe e di compiere i più banali movimenti della vita quotidiana, nemmeno di respirare in modo normale. Il marito di Alessandra è cassintegrato e percepisce solo 540 euro mensili: troppo pochi per il mutuo (500 euro solo quello) e le altre spese, tra cui quelle mediche per Alessandra, che è destinata a morire poiché la sua malattia è progressiva.
     Già, a morire… Dev’essere questo che hanno pensato gli addetti a questi “tagli” che lasciano sotto un ponte persone malate, che sono una categoria debole e che dovrebbero avere la precedenza nell’essere tutelati. “Tanto deve morire”. E se non l’hanno detto, è come se lo avessero fatto, perché il risultato è comunque sempre quello: che Alessandra e suo marito vivono completamente dimenticati dallo Stato italiano, che non tiene minimamente conto della loro condizione, tutto impegnato nella sua politica di tagli a spese dei cittadini per continuare a garantire i super-stipendi ai parlamentari, nella totale e spudorata indifferenza della gente che non riesce nemmeno a fare un pasto decente durante la giornata. Che mangino brioches!, pare sentir dire!

     Alessandra lancia un appello al blog di Luca Faccio, che scrive per Il fatto quotidiano, dove chiede ai politici di intervenire per lei e per coloro che condividono la sua stessa inconcepibile condizione.

     Quello che ci dovrebbe venire spontaneo fare è aiutare queste persone. Si dà il caso che lo si possa fare, effettuando un versamento a piacere sul loro conto corrente, in modo da non permettere a questo stato di mafiosi (e lo intendo letteralmente) di schiacciare la dignità dei cittadini per i quali dovrebbe lavorare.
Chiunque fosse intenzionato a un atto non dico di solidarietà, ma di giustizia, ecco le coordinate bancarie con cui effettuare il versamento:

IBAN: IT34 A061 3039 4101 0000 0000 404

Alessandra Incoronato e Giovanni Edoardo Rame
CASSA DI RISPARMIO DI CIVITAVECCHIA


     E questo è l’appello di Alessandra.