domenica 14 agosto 2016

Alex Schwazer innocente? Un complotto di Iaaf e mafia avrebbe punito il marciatore

     L’ha detto fin dal principio: "So che un atleta che era già stato trovato positivo ha poca credibilità, ma stavolta non è vero". Si difende con le unghie e con i denti Alex Schwazer, 31 anni, oro olimpico a Pechino 2008 nella 50 Km di marcia, podista altoatesino finito sui giornali prima per la sua vittoria in Cina, poi per la scoperta del doping nel 2012 che lo ha portato alla squalifica per un bel po’. Ora però l’ombra della squalifica è tornata su di lui in occasione dei giochi olimpici di Rio de Janeiro. 

     Si è davvero dopato di nuovo Alex Schwazer? La vicenda, a seguirla, appare in verità molto sospetta e fa sorgere qualche dubbio sulla veridicità dell'accusa. Troppe stranezze, troppe irregolarità sospette. Ma andiamo con ordine...

     Alex sapeva che dal momento in cui fu trovato positivo all’eritropoietina lo avrebbero tenuto d’occhio in continuazione e infatti ha fatto montagne di esami, per mesi e mesi, tutti negativi. Nel frattempo ha continuato ad allenarsi duramente, guidato da Sandro Donati, paladino dell’antidoping, che in passato ha denunciato casi di irregolarità e che forse, così facendo, ha dato fastidio a qualcuno.

     Il 1° gennaio 2016 arriva a Racines (dove Alex vive) quel controllo antidoping a sorpresa da parte della Federazione Internazionale. Controllo eseguito con dubbia regolarità, come vedremo. La provetta viene analizzata a Colonia e Alex risulta ancora una volta pulito. Poi la stessa provetta viene ricontrollata in Canada tre mesi dopo e, stranamente, salta fuori il positivo. Di pochissimo, il valore del testosterone è appena sopra la media, talmente poco che non avrebbe alcun effetto dopante, ma è un positivo.

Sandro Donati e Alex Schwazer
     “Ma come?”, viene da pensare, “ti beccano dopato e tu lo rifai, tra l’altro pochi mesi prima delle olimpiadi e sapendo di essere controllatissimo, dopo aver buttato gli ultimi anni ad allenarti e riprenderti dal trauma di una carriera appesa a un filo?”. Il rischio è troppo grande, soprattutto dopo un percorso di ricostruzione atletica e personale difficilissimo che l’atleta ha dovuto affrontare per rimettersi in pista. Dovrebbe essere davvero un cretino il nostro Alex, e il suo allenatore più cretino di lui per correre un rischio del genere, sapendo che lo avrebbero beccato al 100%. C’era troppo da perdere per credere che sia vero.

     Ad ogni modo, strano che sia, arriva la sospensione in via cautelare in attesa della sentenza definitiva e l’atleta annuncia fin da subito la sua innocenza, con la stessa convinzione con cui annunciò la sua colpevolezza quattro anni fa. Anzi, lo fa con ancora più convinzione. Qualcuno potrebbe non credergli, certo, potrebbe dire che è normale che si dica innocente, però nel 2012 non esitò a confessare senza batter ciglio, chiudendosi il viso tra le mani, a testa bassa e la voce rotta dal pianto per tutta la durata della conferenza stampa, sputtanandosi da solo davanti al mondo intero. Perché ora dovrebbe mentire? Perché avrebbe dovuto fare il furbetto proprio ora che sapeva di essere ancora più sorvegliato? È davvero così stupido Alex Schwazer?
     
Giuseppe Fischetto
     Se non è così allora qualcuno lo vuole fuori dalle olimpiadi. Un complotto, per colpire e punire il suo allenatore che ha fatto l’“infame” denunciando in passato le irregolarità in un mondo dove lo sport non esiste più ed esistono solo gli interessi personali di gruppi di potere, mafie dello sport e dirigenti corrotti della Iaaf (la federazione internazionale di atletica leggera), un mondo in cui se fai la spia te la fanno pagare, al punto che ora Donati ha già ricevuto molte minacce e telefonate intimidatorie e teme per la sua famiglia e per la sua vita, cosa che lo ha costretto a rivolgersi ai magistrati romani (il fatto che la commissione antimafia, allertata appositamente, si sia mossa subito è segno che cè davvero qualcosa di strano sotto). Donati e Schwazer hanno infatti collaborato con la Procura della Repubblica di Bolzano e col Ros dei carabinieri per scovare il database di un medico italiano, Giuseppe Fischetto (di cui ci sono intercettazioni telefoniche nel video in chiusura) in cui furono trovati valori ematici di molti atleti (tra cui parecchi russi) particolarmente elevati. La cosa fu portata all’attenzione anche della Wada (un'agenzia che si occupa di doping a livello mondiale). È come se la Iaaf volesse occuparsi in via esclusiva di doping, come se nessun altro a parte loro dovessero parlarne e, all’occorrenza, dovessero poter insabbiare comodamente i casi più scottanti (quelli dei russi), senza occhi esterni che ficchino il naso. E, sarà un caso, ma il dottor Fischetto non solo lavora ancora per la Iaaf nonostante lo scandalo, ma è stato responsabile antidoping per la Coppa del Mondo di Marcia a Roma e quindi ha fatto gli esami a Schwazer, lo stesso atleta che lo aveva denunciato nell’inchiesta di Bolzano.

     Un complotto perché Alex si era redento in tutto e per tutto e aveva rotto il muro dell’omertà con le sue denunce; e si era permesso pure di vincere la marcia a Roma la scorsa primavera, marcia che il commissario Maggio (intercettato a telefono) gli avrebbe intimato di perdere per far vincere qualcun altro; perché se Alex fosse tornato a gareggiare pulito e agli alti livelli a cui era giunto avrebbe dimostrato che è possibile fare bene senza imbrogliare. Eugenio Capodacqua, giornalista sportivo, intervistato da Attilio Bolzoni (La Repubblica), ha dichiarato: «Se Schwazer con il suo modello rappresenta una rivoluzione, Sandro Donati rappresenta una spina nel fianco dello sport corrotto da trent’anni in qua». Un messaggio che non doveva passare e qualcuno da punire: sarebbero questi i moventi a cui normalmente non daremmo credito, ma che in una vicenda del genere hanno un certo fascino di credibilità.

     Ma i sospetti di complotto aumentano ancora di più se si considerano le clamorose stranezze e irregolarità riguardanti la stessa provetta che conteneva le urine analizzate.
     Ad esempio, tutta la documentazione della custodia della provetta nel suo viaggio verso il laboratorio è stranamente lacunosa e incompleta, come se non si fosse voluto far sapere dove la provetta fosse stata.
     Oppure il fatto (grave) che la provetta sia stata consegnata con su scritto il nome del luogo di provenienza (Racines), rompendo quindi l’anonimato previsto in questi casi che è garanzia di imparzialità dei risultati e serve appunto a impedire che qualcuno sappia quale provetta colpire nel caso di frode; luogo di provenienza che è infatti identificativo dell’atleta stesso, giacché a Racines abita solo un atleta, Alex Schwazer.
     Oppure la comunicazione dei risultati del secondo test comunicati con ben un mese di ritardo, come per accorciare al massimo il tempo a disposizione per una difesa (e infatti Alex è stato costretto a difendersi a Olimpiadi già iniziate).
     O anche la stessa natura della sostanza, il testosterone: esso, come si sa, ha effetti sulla forza e sull’aggressività, tutte cose di cui un maratoneta non ha bisogno. Se un marciatore vuole doparsi deve potenziare la resistenza (sono pur sempre 42 chilometri!) e usare il testosterone sarebbe inutile.
     I legali di Alex denunciano poi una serie di altre irregolarità, come la mancata firma di ricezione del campione o la non chiara identificazione di chi abbia fatto la consegna... Per non parlare del fatto che i responsabili abbiano consegnato il campione non al laboratorio, ma a un portiere!

     Troppi dubbi, quindi, troppi vuoti, troppe irregolarità, troppe manovre sospette e troppa poca chiarezza in questa vicenda che sè fatta torbida più che chiarire come avrebbe dovuto fare. E intanto però, nonostante tutte queste stranezze, la difesa non ha potuto spiegare come abbia fatto quella minima quantità di testosterone esogeno (cioè non prodotto dal corpo dell’atleta) a finire nel sangue di Alex. E tanto basta per la condanna: 8 anni di squalifica. Traduzione: carriera finita.
     Ecco come si mette fuori gioco un atleta sfruttando un suo errore compiuto in passato, un atleta talentuoso, che aveva sbagliato ma che si era redento ed era pronto a dimostrarlo in una gara pulita, lanciando un bellissimo messaggio; un atleta che però aveva pestato i piedi alle persone sbagliate, a poteri più grandi di lui. E lo stesso vale per il suo allenatore, che probabilmente era il vero bersaglio da colpire.

     «Non marcerò mai più, nemmeno per un metro», ha detto Alex. E mentre milioni di fan (e anche una certa intelligenza) gli fanno sentire la loro vicinanza e gli dicono di credere in lui e nella sua buona fede, la sua vicenda ci ricorda che il mondo dello sport non è solo quello che si vede dagli spalti di uno stadio, ma, come spesso accade, è il terreno dove tenta di germogliare l’erbaccia degli interessi economici di pochi prepotenti corrotti.

     Di seguito potrete vedere una ricostruzione in stile docufilm delle trame ordite contro Alex Schwazer dai signori del doping. Il video è stato realizzato da Attilio Bolzoni (La Repubblica), giornalista che si occupa di mafia, e Massimo Cappello (La Repubblica) con la regia di Alberto Mascia e presenta molte delle intercettazioni telefoniche sopra richiamate, aiutando a farsi un’idea più completa di quello che è accaduto.

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